ALLEANZA TERAPEUTICA TRA FISIOTERAPISTA E PAZIENTE

da | Feb 12, 2021 | Altri approfondimenti

Cos’è?

Per definire l’alleanza terapeutica tra fisioterapista e paziente, rubo la definizione agli psicologi.

L’alleanza terapeutica ha tre componenti:

  1. La condivisione esplicita degli obiettivi da parte di terapista e paziente
  2. La definizione dei compiti reciproci
  3. Il legame che si crea caratterizzato da fiducia e rispetto

Com’era l’alleanza terapeutica tra fisioterapista e paziente qualche anno fa…

Quando io ho fatto la scuola di fisioterapia si parlava poco di alleanza terapeutica con il paziente perché non ce n’era bisogno.

Il fisioterapista eseguiva una prescrizione specialistica, non aveva possibilità di decidere quale trattamento eseguire.

Com’è oggi l’alleanza terapeutica tra fisioterapista e paziente….

Nel tempo le cose sono cambiate e la mia figura professionale ha oggi possibilità NON di fare diagnosi che resta sempre una competenza medica, ma di svolgere una valutazione funzionale e in base a quello dare al paziente delle possibilità terapeutiche per la risoluzione del suo problema. In pratica, il medico fa diagnosi, il fisioterapista fa una valutazione autonoma e stabilisce che tipo di percorso fisioterapico impostare.

Questa autonomia del fisioterapista fa si che a volte le persone vadano direttamente nello studio fisioterapico. Non voglio dire che il paziente debba saltare i passaggi ma inevitabilmente talvolta questo accade. Il fisioterapista in quanto figura sanitaria è in grado di comprendere se una problematica può essere arginata con i mezzi che ha a disposizione o se il paziente va inviato dal medico di base prima e da uno specialista poi per eventuali accertamenti.

Se il paziente viene inserito in trattamento, l’alleanza terapeutica in tutti i suoi 3 aspetti diventa importante in quanto se non si instaura nel modo adeguato, può pregiudicare la buona riuscita di un trattamento.

cosa faccio io…

Personalmente quando in studio viene una persona con la quale ho dei precedenti rapporti di conoscenza, spiego sempre quello che diceva un mio insegnante al tempo in cui i fisioterapisti erano puri esecutori di prescrizioni (detto così so che posso sembrare decrepita, ma ho solo iniziato molto presto).

Il mio insegnante diceva che era necessario “prescrivere il terapista e non la terapia”. Aggiungeva che puoi essere il più bravo fisioterapista del mondo ma se non sei in grado di stabilire un rapporto empatico con il tuo paziente, i tuoi risultati saranno comunque scadenti.

Può anche sembrare strano e qualcuno potrebbe dire: se uno è bravo è bravo, punto e basta!

In realtà chi fa il mio lavoro sa che non è così semplice e alla competenza occorre associare altro.

La condivisione esplicita degli obiettivi da parte di terapista e paziente

Vediamo il primo punto di una buona alleanza terapeutica: gli obiettivi che si pongono al trattamento devono essere comuni.

Vi faccio un esempio: ho avuto un paziente sui 75 anni. È entrato con una stampella e l’ho dovuto aiutare a salire e scendere dal lettino. All’ultima seduta è entrato senza stampella e non ha avuto bisogno di aiuto ma non era contento!

In questo caso avevo lavorato bene ma non mi ero resa conto che i suoi obiettivi erano diversi dai miei. Io puntavo a ridargli l’autonomia necessaria ad avere una buona qualità di vita. Lui voleva qualche cosa che io non potevo dargli e di cui mi sono resa conto solo con una riflessione successiva. Mi aveva detto più di una volta che “non era più come quando aveva 50 anni!!”.

È chiaro che il desiderio del paziente non poteva essere esaudito ma è altrettanto chiaro che la sua scontentezza nonostante le evidenze dei risultati ottenuti, dipendesse dal fatto che i nostri obiettivi non erano gli stessi.

Per la cronaca, non è nemmeno una situazione poco comune ed è ciò che crea situazioni di pellegrinaggi continui da un professionista all’altro.

La definizione dei compiti reciproci tra fisioterapista e paziente

Secondo aspetto fondamentale è definire cosa spetta al fisioterapista e cosa al paziente.

Credo che a tanti colleghi sia capitato di avere un paziente che in prima seduta si corica sul lettino e incrocia le mani dietro la testa nel tipico atteggiamento di chi si sta rilassando sul lettino della spiaggia!

Ecco! Il trattamento fisioterapico non sempre è una cosa che si riceve passivamente ma è un percorso nel quale la partecipazione attiva del paziente è fondamentale.

È inutile fare tanti trattamenti se poi nella quotidianità si continuano ad assumere comportamenti non corretti o a non seguire nessun tipo di indicazione.

Personalmente tendo a dare “pochi compiti a casa” in modo che nessuno possa dire “non ho avuto tempo!!!”

Il legame che si crea caratterizzato da fiducia e rispetto tra fisioterapista e paziente

L’ultimo punto dell’alleanza terapeutica non è meno importante, anzi! Si crea un legame tra fisioterapista e paziente così come tra qualunque figura sanitaria e paziente. Ci si deve piacere a pelle innanzitutto e poi al paziente deve “piacere” il modo di lavorare di quel determinato fisioterapista. Questo permette alla persona di “affidarsi” al professionista.

Vi racconto un altro episodio: un giovane uomo, un artista sempre in viaggio. Chiede un appuntamento immediatamente e mi racconta di essere stato già da molti colleghi che conosco e stimo senza avere ottenuto risultati.

Facciamo un paio di sedute e mi rendo subito conto che il tentativo da parte del paziente è quello di dirigere la seduta decidendo il percorso da fare secondo le sue credenze. In questo caso viene a mancare l’affidarsi di cui parlavo poco fa cosa che ha probabilmente comportato i non risultati precedenti. Un atteggiamento del genere crea anche disagio nel professionista in quanto sa che per aiutare quella persona dovrebbe avviare un percorso che il paziente non vuole fare e qui c’è anche una non condivisione degli obiettivi.

Una situazione di questo tipo non può portare da nessuna parte.

Se anche in questo caso volete sapere com’è finita, vi dico come l’ho gestita. Ho detto chiaramente al paziente che se dovevo finire nel calderone dei colleghi che con lui non avevano ottenuto risultati, ci volevo finire seguendo un modo di lavorare che ritenevo giusto. In caso contrario non avrei potuto provare ad aiutarlo. Il paziente ha riconosciuto che ciò che gli stavo dicendo era corretto e ha preferito sospendere le sedute.

Non conosco i programmi universitari dei corsi di fisioterapia di oggi ma spero vivamente che si parli tanto di alleanza terapeutica perché come spero di aver spiegato è altrettanto importante della competenza tecnica nel lavoro di un fisioterapista e aggiungo di qualunque figura sanitaria!

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Commenti

4 Commenti

  1. Francesca

    Buon pomeriggio. Lei ha sempre una marcia in più. Mi dispiace non essere a Parma. Sarei con lei! Individua per me qualcuno simile a lei , in cui lei ripone qualche fiducia, qui a Roma? Le sarei molto grata. Francesca

    Rispondi
    • Nicoletta Ferrari

      Buonasera Francesca. Grazie innanzitutto! Mi piace quello che faccio e mi fa piacere che si noti anche attraverso questo sito. E’ difficile trovare un fisioterapista che lavori uguale ad un altro. Ognuno di noi fa un percorso che poi in qualche modo elabora e modella facendolo proprio. Così su due piedi non saprei chi consigliarle. Ho alcuni riferimenti per alcune patologie in particolare. Se vuole scrivermi in privato spiegandomi quali problemi ha, posso provare a vedere se riesco ad aiutarla.

      Rispondi
  2. Laura

    Ho avuto una pessima esperienza in un ospedale dove per me si era creato un legame di affetto e fiducia per il mio fisioterapista.
    Vero che io ho fatto lui un regalo il penultimo giorno ( una bottiglia di olio) certo per avere delle conferme di cura. Ma senza nessun avviso lui ha picchiettato con le sue mani per 4/5 min sul mio dolore ma io non sono stata capace di reagire. E poi non ha più operato sul mio corpo. Sbaglio ancora perché gli vado incontro, non dico la sua reazione, solo che io vado via in lacrime senza capire.
    Mi chiedo se una paziente emotiva vada gestita in questo modo e quel gesto è stato davvero doloroso.
    Dove fosse l’empatia non lo so…

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    • Nicoletta Ferrari

      Non ho ben capito l’accaduto ma le consiglierei di chiedere spiegazioni al collega. A volte si possono creare anche degli equivoci che si possono risolvere parlandone. Mi spiace comunque per il suo disagio

      Rispondi

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